La condizione giovanile
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Essere giovani è stato probabilmente più difficile in passato che ai giorni nostri, almeno dal punto di vista delle condizioni materiali ed economiche.
Oggi lo è senz’altro di più dal punto di vista psicologico ed esistenziale.
La ragione di tale difficoltà risiede principalmente nella parola «libertà». Premesso che considero la libertà il sommo bene per l’uomo, aggiungo che, contrariamente a quanto comunemente si crede, la possibilità di scegliere fra diverse opzioni genera spesso, in molti, ansia o addirittura angoscia.
In altre epoche il destino di ciascuno era in larga parte deciso dalla nascita; i figli continuavano l’attività del padre; non parliamo delle donne, relegate in casa. Cercare di soddisfare i bisogni primari, quelli alimentari in primo luogo, impegnava spesso tutte le energie degli individui. Per le classi inferiori, una vita spirituale poteva essere rudimentalmente sperimentata, suppongo, soltanto all’interno degli indiscutibili dogmi della Chiesa.
Oggi ogni giovane ha davanti a sé, riguardanti il proprio futuro lavorativo, sentimentale, spirituale, sessuale, una quantità di opzioni e di possibilità ignote in passato.
Anzi è la società stessa che esige da lui una completa realizzazione dei propri talenti e delle proprie inclinazioni; un periodo di apprendistato, scolastico, lavorativo, esistenziale, lungo e oneroso.
Dall’altro, l’organizzazione sociale frappone una miriade di ostacoli alla autorealizzazione individuale. Chi è chiamato a scegliere, spesso lo deve fare al buio. Il mercato del lavoro, nella sua mutevolezza, ma anche nelle sue chiusure corporative diventa una sfinge, specialmente per quel giovane che è più privo di mezzi economici. Orientarsi fra le molteplici idee e suggestioni che percorrono la contemporaneità e dare coerenza alla propria vita spesso si rivela un compito immane.
E per onestà bisogna aggiungere che qualsiasi scelta compiuta da un essere umano, per quanto ben ponderata, non può mai definirsi completamente razionale e corretta, perché sono sempre molte le variabili in gioco sconosciute, come ci ha insegnato il premio Nobel per l’economia Simon.
Non deve sorprendere, quindi, se spesso si assiste a quella che Fromm ha chiamato «fuga dalla libertà». Il giovane, avvertendo l’ansia della scelta come intollerabile, può consegnarsi ai paradisi artificiali della droga, può rifugiarsi nell’esistenza gregaria di un lavoro sicuro e poco impegnativo, può sottomettersi alle scelte che altri hanno fatto per lui, può abbandonarsi a comportamenti devianti.
Spesso, inoltre, le scelte fondamentali che un giovane deve fare e che riguardano tutto il suo futuro, vanno compiute in un’età acerba, priva di quella conoscenza degli uomini e della vita, che solo l’esperienza può portare. Scelte fondamentali fatte poi in perfetta solitudine, senza che nessuno venga in aiuto in modo adeguato.
Sono poi gli anni giovanili, quelli delle prime esperienze sessuali, dei primi smacchi amorosi e qualunque esperienza negativa in questa delicata ed intima sfera non è da sottovalutare per i contraccolpi che può avere sull’equilibrio psico-emotivo.
I giovani si trovano così spesso ad esperire severe crisi d’identità, rafforzate dal fatto che la società li considera maturi come consumatori, la pubblicità li blandisce, ma come soggetti sono costretti per lunghi anni alla dipendenza economica dai genitori. «Avevo vent’anni. Non permetterò mai a nessuno di dire che questa è l’età più bella», scriverà profeticamente Paul Nizan in «Aden Arabia».
Elencare dei rimedi concreti, praticabili, è sempre compito difficile. La condizione giovanile è intrinsecamente difficile. Diventare adulti è da tempo uno dei compiti più ardui che sia dato all’essere umano. Qualcuno ha proposto di ascoltarli di più questi giovani. Ma l’ascolto presuppone cultura da parte di chi ascolta, condizione che non sempre si verifica.
Almeno dalla scuola un maggiore impegno in questo senso è però lecito aspettarselo. E poi sono necessarie riforme, come quella scolastica, che creino accessi facilitati al mondo del lavoro, che offrano percorsi formativi differenziati, «personalizzati» mi verrebbe da aggiungere.
Inoltre sarebbe bene incentivare iniziative che portino all’autonomia economica la più precoce possibile. Che so, periodi di studio alternati al lavoro, borse di studio, prestiti o quant’altro un competente economista riesca a proporre.
Il mondo produttivo dovrebbe divenire più flessibile, l’occupazione andrebbe promossa con ogni sforzo. Infine la scuola, i media, le associazioni dovrebbero produrre un’offerta di cultura che avvicini il giovane alla lettura, allo studio dei classici antichi e moderni.
A mio giudizio, infatti, l’alta cultura può essere in molti casi il più potente antidoto alle sofferenze e ai disagi psicologici ed esistenziali.